Dicano pure di noi tutto il bene che vogliono, non ci diranno mai niente che già non sappiamo.
(François de La Rochefoucauld)

Interessante articolo pubblicato da Ilsussidiario e che potete trovare a fondo pagina. Unarticolo di grande compiacimento che ripercorre la storia del Fondo di solidarietà alla luce dello sviluppo delle relazioni sindacali del comparto.

A quanto pare anche la CISL non è immune dal virus della “narrazione retorica”. E l’hanno messo per iscritto in un saggio. La narrazione  di “un percorso virtuoso – la bilateralità nella gestione del Fondo di Solidarietà – che, a sua volta, ha influenzato positivamente le relazioni sindacali in quanto tali, attraverso un processo di contaminazione reciproca che ha consolidato la strumentazione di gestione dei rapporti di lavoro nei due livelli di contrattazione (nazionale e aziendale).” Un successone! Del resto, avete mai visto i sindacati perdere?

Facciamo però un po’ di cronistoria, prendendo in presto questo documento del 2011 dei sindacati autorganizzati. Nel documento si legge:

La nascita del Fondo Esuberi di categoria è strettamente legata al rovinoso rinnovo del CCNL del 1999. Allora (ennesima vittoria) i sindacati firmatari giustificarono l’arretramento contrattuale proprio con la nascita del Fondo che, a loro dire, dava ai lavoratori un fondamentale, e prima inesistente, strumento di difesa dalle crisi occupazionali. Le norme dell’accordo vennero recepite dal punto di vista legislativo con il Decreto n. 158 del 28 aprile 2000.
Il 24 gennaio 2001 Abi e sindacati concertativi firmarono un “Verbale di incontro” dove veniva introdotta la possibilità di usare il Fondo per le banche che, rinunciando al ricorso a licenziamenti collettivi, fossero disponibili ad attivare esodi volontari per i lavoratori che avevano i requisiti per accedere al Fondo.

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Proviamo a spiegare in termini comprensibili.
Se una banca dichiarava un certo numero di esuberi, con la procedura obbligatoria poteva mandare a casa un numero corrispondente di lavoratori che erano i più vicini al raggiungimento dei requisiti per andare in pensione.
Con l’introduzione della procedura facoltativa la platea di interessati all’esodo poteva essere ampliata a tutti coloro i quali avevano i requisiti per accedere al Fondo, anche in numero maggiore rispetto agli esuberi dichiarati.
Se l’operazione funzionava nessuno veniva obbligato ad un’uscita anticipata dal posto di lavoro, ma se ne andava solo chi voleva, spesso anche in numero superiore al necessario.
E’ questo il verbale di accordo che l’Abi, il 7 aprile, ha dichiarato di voler disdettare e che è stato identificato come “esodo volontario”, ma è bene chiarire che, anche in questo accordo, la volontarietà era un’opzione che le banche potevano adottare, ma non un obbligo.
Due anni dopo la firma di questo verbale, per fare un esempio, Intesa BCI dichiarò lo stato di crisi e quasi 6.000 esuberi. L’accordo prevedeva che nel Fondo dovessero entrare coloro che avevano già maturato il diritto alla pensione e poi coloro che, avendone i requisiti, aderivano su base volontaria. Ma se il numero dei volontari fosse stato insufficiente si sarebbe passati all’uscita obbligatoria di chi era più prossimo alla pensione. L’incentivo era ridotto ad una mensilità come “premio tempestività”.
Abbiamo voluto fare questa lunga introduzione perché è indispensabile per capire l’attuale accordo, che ha ripristinato la situazione esistente con il verbale del 2001 e che possiamo così definire: ora come allora le aziende hanno la facoltà di attivare il fondo su base volontaria, ma non può essere escluso il passaggio alla fase obbligatoria.
Questo concetto va tenuto ben presente alla luce della vera novità dell’accordo dell’8 luglio rispetto agli esodi e cioè la decurtazione dell’assegno di accompagnamento alla pensione per chi ha il calcolo della stessa con il sistema retributivo.
(…)
Peraltro riteniamo di dover proporre una riflessione: l’attenzione fortissima dei colleghi più anziani alle notizie di prossimi esodi segnala una situazione di grande esasperazione ed insofferenza per le condizioni di lavoro e questo chiama in causa direttamente i sindacati del primo tavolo che, da sempre (vedi anche la premessa alla piattaforma di rinnovo del CCNL), si vantano dei prodigiosi risultati della contrattazione degli ultimi 20 anni ed oggi ne possiamo “apprezzare” le conseguenze.
(…)
Tutto questo riguarda la parte “straordinaria” del Fondo, cioè quella che accompagna alla pensione, ma l’altra grossa novità riguarda l’introduzione dei contratti di solidarietà, che prevedono riduzioni di orario o sospensioni temporanee dal lavoro, fino ad un massimo del 50% dell’orario.
Questi contratti, applicabili sempre previa apertura della classica procedura sindacale, possono essere “difensivi” e obbligatori (massimo 36 mesi) per ridurre o evitare eventuali esuberi, o “espansivi” e facoltativi (massimo 48 mesi) per favorire nuova occupazione, cioè la riduzione di orario viene usata per far spazio a nuovi assunti.
Concentreremo l’attenzione sui primi, vista l’obbligatorietà.
Cominceremo col dire che nella parte “ordinaria” del vecchio Fondo erano già previste riduzioni d’orario e sospensioni temporanee dal lavoro con una copertura retributiva, per il tempo non lavorato, pari al 60%.
Il nuovo accordo prevede una copertura fino all’80% attraverso il ricorso alle procedure della Legge 236/93 (art. 5 comma 5). La retribuzione relativa al periodo non lavorato viene coperta dal Fondo per l’occupazione (un fondo pubblico) che eroga il 25% della mancata retribuzione al lavoratore ed il 25% all’azienda. Secondo quanto scritto nell’accordo, l’Abi “inviterà le Associate a rinunciare alla quota di contributo pubblico spettante per legge all’azienda devolvendola a favore dei lavoratori interessati”. Il Fondo Esuberi interviene con un ulteriore 30%.
Riepilogando: 50% dal Fondo per l’occupazione (25% direttamente al lavoratore e 25% dall’azienda, se accetta l’invito dell’Abi…) + 30% dal Fondo Esuberi, Totale 80% della retribuzione per il periodo non lavorato; inoltre, secondo quanto recita la legge in oggetto, “ai soli fini pensionistici si terrà conto, per il periodo della riduzione, dell’intera retribuzione di riferimento”.
Attenzione però: viene anche espressamente detto (e se lo scrivono una seppur remota possibilità ci deve essere) che “in mancanza o al venir meno del contributo” pubblico, si ritornerebbe alla copertura ad esclusivo carico del Fondo del 60%, con l’aggravante che la durata della riduzione può arrivare a 24 mesi o 36 con accordo aziendale, contro i 18 mesi di prima. Inoltre, nel vecchio Fondo, la riduzione era limitata a 6 mesi nel triennio e questo limite è stato cancellato.
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Ricordiamo che questa parte, inedita, del Fondo, non è volontaria. Facendo bene i conti, mettendo insieme l’aumento della copertura economica (dal 60 all’80%, Stato permettendo), la riduzione/sospensione dell’orario (per un massimo del 50%), ma anche la nuova durata (da 18 a 36 mesi) e l’assenza dei vecchi limiti (6 mesi), non è detto che la nuova versione sia più conveniente della precedente.
L’aumento della copertura retributiva, quindi, potrebbe essere solo apparente; tuttavia abbiamo la sensazione che le aziende saranno interessate ad usare questo strumento, che, a nostro avviso, rappresenta un interessante episodio di neocorporativismo, con sindacati concertativi ed aziende uniti per spillare soldi allo Stato. E’, infatti, evidente che questo strumento assomiglia ad una sorta di cassa integrazione, il cui uso è decisamente pretestuoso in un settore come il nostro.
Quali valutazioni, alla fine, di tutto questo?
L’accordo non è scandaloso, ma certo non è la vittoria (c’è chi ha parlato, senza senso del ridicolo, di “vittoria storica”) che ci vogliono vendere i soliti sindacati concertativi e ogni volta si scende più in basso.
Inoltre è un accordo molto complicato, che moltiplica gli strumenti a disposizione delle aziende e lascia aperte troppe incognite (contributo statale: si o no? Esodi? Riduzioni di orario? Sospensioni? Volontarie od obbligatorie? Quali gli impatti sul sistema misto?) demandate in parte alla solita commissione bilaterale (così abbiamo piazzato anche i sindacalisti in esubero…).
Abbiamo l’impressione che il copione sia sempre lo stesso e si ripeta senza sosta da 20 anni: la controparte va all’assalto chiedendo 100 e poi si “accontenta” di portare a casa 30, con i sindacati concertativi che esultano per non aver concesso 70, ma di fatto i lavoratori registrano un costante arretramento delle proprie condizioni rispetto alle precedenti.
La trattativa era partita con l’Abi che voleva introdurre l’indennità di disoccupazione, ridurre la copertura a 4 anni e imporre l’obbligatorietà sempre. Alla fine ottiene uno sconto sulle prestazioni (ricordiamo che le lamentele nascevano dal fatto che varie novità legislative avevano fatto salire il costo del Fondo del 10%, guarda caso…) e la volontarietà dipenderà dagli accordi aziendali.
Ogni volta si dice che “poteva andare peggio”, ma di peggio in peggio si continua a scivolare sempre più in basso. Non vorremmo, oltretutto, che questa “non vittoria” finisca per pesare negativamente sul rinnovo del contratto nazionale, diventando merce di scambio per ulteriori peggioramenti, come già avvenne nel ’99.
Rileviamo che, ora come allora, i sindacati concertativi hanno chiuso l’accordo, senza nessun mandato, senza consultare nessuno e presentando il tutto come un dato di fatto. Non è una novità, ma non ci rassegniamo ad abituarci e chiediamo ai lavoratori di aiutarci contro questa pessima prassi che potrà, a breve, dare nuovi risultati nefasti.
Il vero banco di prova di questo accordo sarà dato dall’esito delle trattative nei gruppi bancari dove sono state aperte procedure di esuberi.

Basti ricordare quello che accadde con la firma del CCNL del 2012. A 18 mesi dalla firma dell’accordo, avvenuta nell’aprile 2012, dopo una tornata assembleare molto combattuta, piena di colpi bassi, scorrettezze e falsità da parte dei sindacati firmatari, per isolare, ignorare e poi tradire la grande opposizione di massa (che bocciò nella sostanza l’intesa raggiunta), tutti sono in grado di riconoscere che la strategia sindacale ha fallito e che l’ABI è incontenibile nella sue richieste.
Tutta la parte “positiva” dell’accordo, quella che doveva compensare i “sacrifici”, è rimasta lettera morta. Niente nuova occupazione (il Fondo per l’occupazione finanziato dai lavoratori finirà qualche anno dopo per diventare in gran parte sostegno del Fondo Esuberi ormai senza più quattrini) ne rientro di lavorazioni.

E’ bene poi ricordare che “Il fondo per l’occupazione istituito nella precedente tornata contrattuale, che come sappiamo è finanziato da noi lavoratori ed ha inondato le banche di giovani assunti (lo so non li vediamo, ma forse sono eterei, come gli spettri di cui sopra), è confermato, ma la sua natura viene radicalmente modificata. Se ne fa un ulteriore strumento di gestione delle tensioni occupazionali, che opererà in sinergia con il Fondo di solidarietà.

La lettura dei nuovi compiti del Fondo per l’occupazione, ci rimanda a scenari apocalittici: rioccupazione dei lavoratori destinatari della Sezione emergenziale del Fondo di solidarietà e dei lavoratori licenziati per motivi economici, riconversione finalizzata a fronteggiare possibili eccedenze di personale dovute a mutamenti nell’organizzazione del lavoro, quella di cui si è rimandato il complessivo riassetto, come accennato, ad accordi futuri e su cui quindi non ci è dato sapere nulla, nel momento in cui andremo in assemblea a discutere dell’approvazione dell’ipotesi di rinnovo. (rif  CRITICITÀ E OPPORTUNITÀ DELL’IPOTESI DI RINNOVO DEL CCNL DEL CREDITO del 15 maggio 2015).

Insomma, non ci sentiamo di confermare che quello che per la CISL è stato fino a oggi un modello vincente basato sulla bilateralità e sulla partecipazione responsabile delle parti, possa essere non solo un modello “vincente”, ma soprattutto la base per gli sviluppi futuri.

Sulla questione dell’importanza degli enti bilaterali, c’è un bell’articolo del Fatto Quotidiano  dal titolo: “Quote di assistenza contrattuale, quella tassa occulta pagata ai sindacati”; ovvero  come i “gettoni di presenza” incassati dalla triplice sindacale dalla partecipazione agli enti bilaterali serva per far quadrare i bilandi a Cgil, Cisl e Uil (al ministero del Lavoro li definiscono una “royalty” a favore delle O.S. per avere chiuso i contratti).

 

L’articolo de IlSussidiario.net:

By aidos