La vicenda MPS assume i toni della tragedia greca, con il suicidio del capo comunicazione David Rossi, da sempre al fianco del principale responsabile di questo disastro, quel Giuseppe Mussari che fino a due mesi fa è stato presidente ABI, con ben due mandati.

Fatta salva l’umana pietà che si deve a chiunque, vogliamo ricordare alcuni passaggi che stanno prefigurando l’esito peggiore che si poteva ipotizzare: i costi del risanamento vengono posti a carico, nell’immediato, al contribuente, ed in via strutturale ai lavoratori, che stanno subendo un trattamento profondamente ingiusto.

Mentre la magistratura procede nel suo lavoro di scavo, tutti i principali protagonisti sono alla ricerca di alibi per evitare di pagare il fio a pratiche dissennate che hanno rovinato la più antica banca italiana. La “banda del 5%”, come è stata denominata la gang che guidava l’area finanza, era al lavoro da oltre 10 anni, ed ha depredato per sé almeno 40 milioni di euro, ora sequestrati, ma i danni inflitti alla banca nel suo complesso hanno un ordine di grandezza ben superiore. Si parla di un indebitamento complessivo di 17 miliardi di euro, conseguenti all’acquisizione di Antonveneta e a tutte le operazioni cosmetiche messe in piedi per nascondere il buco, mentre la Fondazione cercava disperatamente di mantenere il controllo societario e la senesità della banca.

Oggi tutto è a rischio in quel sistema di soldi e di potere, eppure la Fondazione non rinuncia a pretendere la sua libbra di carne e circola l’ipotesi di uno spezzatino aziendale che consenta ai senesi il controllo di un terzo della banca, quello posizionato nell’Italia Centrale, e la vendita degli altri due terzi al miglior offerente, italiano o straniero che sia.

Ma chi ha la responsabilità di quanto accaduto prende le distanze e cerca di stare lontano dai guai: così Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia ai tempi delle fusioni bancarie ed ora alla Bce; così Anna Maria Tarantola, responsabile della vigilanza Bankit ed ora alla Rai. Al capezzale di MPS sono stati chiamati due banchieri, come Profumo e Viola, che non sono certo facce nuove: hanno giocato ruoli di primo piano in vicende aziendali non troppo dissimili, solo un po’ meno truffaldine (pensiamo ai derivati di Unicredit, piazzati ad aziende ed enti locali che rischiano il tracollo ANCHE per quelle operazioni).

Quello che ci preme di più sono però le sorti dei lavoratori, ultimi a decidere e i primi a pagare sempre. Il piano di Viola e Profumo si è basato sin dall’inizio sul taglio dei costi, attraverso la chiusura di 400 filiali, esodi, esternalizzazioni, azzeramento della contrattazione integrativa aziendale e persino deroghe al CCNL. Con il pieno consenso di Fabi-Fiba-Uilca-Ugl, il piano sta prendendo corpo.

Già prima dello scandalo, l’accordo del 19 dicembre prevedeva 1.000 esodi e 1.100 esternalizzati, da infilare in un veicolo societario con MPS in minoranza. L’acquirente restava (e resta) indefinito, ma entro giugno si sceglierà tra una quindicina di offerte. Inoltre l’accordo riduceva quasi a zero i trattamenti previsti dal C.I.A. lasciando in piedi solo quanto previsto dal CCNL, e neanche tutto, vista la concessione di deroghe, con sacrifici estremamente pesanti, in particolare per i più giovani.

Per fare un esempio, un lavoratore con meno di 6 anni di anzianità viene a perdere, in conseguenza dell’accordo, qualcosa come 80.000 euro nell’arco dell’intera vita lavorativa, senza contare la riduzione delle indennità di cassa e di pendolarismo.

Per fare accettare ai lavoratori questo salasso si è ovviamente provveduto a sospendere la democrazia, violando quelle stesse norme che i sindacati firmatari avevano concordato con le aziende nell’accordo quadro di settore del 24/10/2011. Le “assemblee certificate” sono state svolte in modo separato, ma mentre quelle indette dalla FISAC hanno visto procedure corrette, con 7000 partecipanti e 94% di NO, quelle indette dalle quattro sigle firmatarie hanno prodotto risultati mai resi noti nel dettaglio: il 93% di SI su quale grandezza vanno conteggiati? Quanti lavoratori sono stati consultati? Quanti hanno votato? Interrogativi destinati a restare senza risposta.

Intanto sono stati resi noti i dati definitivi dell’offerta di esodo, con adesioni molto superiori al previsto: anziché 1.000 sono stati ben 1.660 i lavoratori che, avendo il diritto a pensione entro il 2017, hanno accettato di andarsene, per uscire da questo tunnel di paura e di panico.

E’ quindi assolutamente attuale la richiesta, inizialmente sostenuta da TUTTI i sindacati del tavolo, di evitare l’esternalizzazione di migliaia di dipendenti, che uscendo dal perimetro aziendale rischiano tantissimo in termini di mobilità territoriale, di sicurezza economica e garanzia occupazionale.

Ulteriori risparmi potrebbero essere consentiti, come è stato proposto dalla Fisac, da un contributo di solidarietà del 10% sui compensi oltre i 100.000 euro l’anno e soprattutto da un drastico intervento sui compensi del Top Management. A questo si può aggiungere l’accoglimento di un numero maggiore di richieste di part-time in modo da soddisfare tutte le richieste.

L’azienda sembra invece orientata a procedere sul progetto di esternalizzazione, a non prendere in alcuna considerazione una revisione in chiave solidale delle retribuzioni più alte e a reinvestire parte dei suoi risparmi in un sistema incentivante inaccettabile.

La proposta aziendale su questo ultimo tema è infatti un ulteriore tassello di un sistema di relazioni industriali sempre più ingiusto e penalizzante, che punta solo a dividere. Il sistema di incentivi proposto si ispira a principi rigorosi di estrema selettività, copre solo la rete filiali e i centri specialistici, esclude strutture di sede centrale o di area territoriale, restringe la platea dei potenziali beneficiari a circa il 10% dei lavoratori in servizio. L’erogazione dipende dal risultato netto consolidato del Gruppo: se inferiore al 50% nessuna erogazione, se compreso tra 50 e 95% viene erogata la metà del montepremi, se compreso tra 95 e 105% viene erogato l’intero montepremi. Secondo le stesse proiezioni aziendali, anche nel caso più probabile (risultato compreso tra 50 e 95%) solo il 10% delle strutture più performanti (quelle che hanno fatto il 90%) potranno andare a premio, mentre se si raggiunge il 100% andranno a premio solo il 20% delle strutture più performanti.

Come se non bastasse il direttore della filiale premiata può distribuire a sua discrezione il 25% del premio assegnato ai più “meritevoli” della sua squadra.

Il progetto aziendale è quindi sin troppo chiaro: ridurre gli organici, esodare quanto più possibile, escludere dal perimetro aziendale un primo pezzo di lavorazioni (senza garanzie occupazionali in caso di crisi del compratore), scatenare un’aggressiva competizione tra chi resta, fare crollare qualunque collante solidaristico tra i lavoratori, per recuperare a tutti i costi redditività e guadagni. Sullo sfondo resta l’obiettivo di trovare un compratore purchè sia, per evitare la nazionalizzazione del Monte. Un piano di lacrime, sudore e sangue che scarica sui più deboli le conseguenze della gestione dissennata dei manager.

Non deve finire così: ai lavoratori Monte Paschi va fatta sentire la solidarietà fattiva di tutta la categoria, per superare insieme questo momento di estrema confusione e difficoltà.

COMITATO NO AL CONTRATTO AIUTA-BANCHIERI

By aidos