DA SEGRETERIANAZIONALE CUB-SALLCA

L'8 marzo non è una ricorrenza rituale, ma la commemorazione storica di un evento tragico.

L'incendio di uno stabilimento operaio dove trovarono la morte decine di donne non è solo un residuo del passato, ma una realtà che grida vendetta nella cronaca quotidiana della modernità. Questo non solo nei lontani paesi "emergenti", ma anche in "casa nostra" (come dimostra il recente episodio di Prato).

Riflettere sulla condizione femminile e sui problemi affrontati ogni giorno dalle donne che lavorano è un esercizio da praticare sempre, non solo in uno specifico giorno di marzo.

Buona lettura

 

CARE DONNE CI STANNO FACENDO LA FESTA!!!

 

   Non si pensa certo attraverso questo documento di rilanciare una battaglia femminista, ma almeno fare alcune considerazioni di “buon senso” e dare alcuni spunti di approfondimento su quello che vuol dire oggi un posto di lavoro che tenga conto dello specifico femminile in un paese che, attraverso una nutrita letteratura giuridica nazionale ed europea, afferma la parità di trattamento tra uomo e donna.

 

LE FONTI:

 

– La Costituzione Italiana con gli articoli: 3, 29, 37, 48, 51, 117;

– il Dlgs 11/04/2006 n. 198, detto anche Codice delle pari opportunità tra uomo e donna;

– la legge 12 luglio 2011 n. 120, detta equilibrio tra generi nelle società quotate;

 – la direttiva europea 2004/113/CE;

 – la direttiva europea 2006/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio.

 

ALCUNI DATI DA CUI PARTIRE

 

   Nel 2011 il tasso di occupazione europeo era del 64,3% di cui il 58,5% donne e 70,1% uomini; in Italia a fronte di un tasso di occupazione del 56,9% le donne erano occupate al 46,5%, mentre gli uomini al 67,5% (fonte Eurostat 2011).

   Il lavoro a Part-time in Italia è utilizzato principalmente dalle donne (il 31,1% delle occupate nel 2012 lavorava P/T, a fronte di un 7,2% degli uomini occupati – fonte Istat).

   Il 2012 ha visto un aumento della disoccupazione in Italia dall’8,4% al 10,7%, di poco superiore a quello europeo del 10,4%; le donne si attestano però attorno all’11,9%. mentre gli uomini al 9,9% (fonte Istat 2012). Le donne continuano ad essere pagate di meno rispetto agli uomini. In Italia (fonte Istat 2012) il divario tra retribuzione maschile e femminile è, a parità di altre condizioni, dell’11,5%.

   Da un’analisi superficiale di questi dati appare immediatamente la forte penalizzazione delle donne sul mercato del lavoro – le prime ad essere espulse, più precarie e più flessibili – a cui si aggiungono i disagi derivanti dal rincaro dei servizi – asili e scuola – la chiusura di molti ospedali sul territorio nazionale – di cui molti con specializzazioni legate alla salute femminile come l’Ospedale Valdese a Torino o l’ospedale Pascale a Napoli, eccellenza oncologica vittima della spending review.

Eh già, non dimentichiamo che da sempre sulle donne pesa il doppio ruolo che le vede impegnate in ambito lavorativo e nella cura famigliare!

   Non dimentichiamo che lo smantellamento del welfare grava maggiormente su chi deve conciliare quotidianamente tempi di vita e tempi di lavoro! Non dimentichiamo che il part-time e la legge 104 sono utilizzati maggiormente dalle donne per prendersi cura della famiglia! Forse in una società “più uguale” non si evidenzierebbero questi problemi, ma così è!

 

E VENIAMO AL NOSTRO SETTORE

 

   Le donne bancarie in Italia sono circa il 43% della categoria (dato ABI 2011) con la tendenza ad aumentare rispetto all’occupazione maschile. In Europa le dirigenti di livello intermedio sono il 17% e quelle di alto livello il 14%. La BCE si pone l’obiettivo di portarle rispettivamente al 35% e al 28% nel 2019 quale riconoscimento del loro contributo al raggiungimento di risultati migliori.

   Per noi il problema non è solo quantitativo (le donne “in carriera” il più delle volte devono accettare un modello maschilista competitivo e prevaricatore), ma di qualità di vita lavorativa e non solo.

   Ben vengano le Commissioni Pari Opportunità per affermare uguaglianza di diritti e la difesa dello specifico, perché la tendenza discriminatoria nei confronti delle donne è ancora molto forte nei posti di lavoro, ma ci preme sottolineare che la specificità femminile racchiude in sé valori altri, difficilmente omologabili al modello dominante. Il concetto di pari opportunità deve partire dal percorso di emancipazione e autodeterminazione che i soggetti più deboli di una società devono poter intraprendere, ma non annulla la differenza di genere, anzi la evidenzia in quanto valore aggiunto per la società intera.

   E’ di recente pubblicazione un documentino della Banca d’Italia di sei pagine intitolato “Linee guida di comportamento organizzativo per la valorizzazione delle differenze” in cui, tra i vari bla-bla, si legge: “ La qualità dell’output dei processi di lavoro dipende in larga misura dalla capacità dei “capi” di integrare sensibilità, esperienze, competenze diversificate. Ciò richiede una pianificazione del lavoro rispettosa delle esigenze di conciliazione vita-lavoro e un’assegnazione di incarichi e responsabilità in grado di valorizzare le caratteristiche distintive di ciascuno”.

 

Rispettosa…È scritto. Quindi siamo a posto? In realtà sembra una bella presa in giro!

 

   Le banche in genere sono ben lontane dal favorire la conciliazione dei tempi di vita-lavoro di donne e uomini, altrimenti avrebbero adottato altre politiche nel corso degli anni, come ad esempio la riduzione dell’orario di lavoro per tutti, avrebbero mantenuto i permessi per visita medica, non farebbero pressioni per il rientro, al termine della maternità obbligatoria – paventando un probabile trasferimento – non farebbero tante storie se i permessi per l’allattamento li utilizzasse il padre e certamente non avrebbero introdotto gli orari estesi (flessibilità prevista dal CCNL, già applicata da Intesa Sanpaolo e in via di diffusione in diverse aziende).

   Ammesso che questa sia un’esigenza prioritaria del sistema, si sarebbe dovuto almeno assumere un congruo numero di lavoratori per venire incontro alle necessità e permettere dei turni decenti, anche in considerazione dei contributi che tutti noi versiamo a favore del Fondo unico per l’occupazione e che le banche si intascano!

   Ma non è finita qui. Come la mettiamo con chi utilizza il part-time perché ha i figli piccoli, perché cerca di conciliare al meglio le esigenze di vita e di lavoro?

   Da sempre le donne a part-time sono discriminate, ma dove è in vigore l’orario flessibile lo sono ancora di più.

   Spesso, in prossimità del rinnovo del part-time, le colleghe vengano contattate per una rinegoziazione dell’orario sulla base delle esigenze aziendali e quasi sempre le proposte sono peggiorative (con motivazioni tipo: dove sei ora, non c’è posto per un part-time come il tuo; o rientri a tempo pieno, o fai un part-time serale; vieni a lavorare il sabato, oppure alterni una settimana di mattina e l’altra di pomeriggio e così via). Le esigenze di vita si adattano, obtorto collo, al part-time flessibile rinegoziato! Ed è spesso una vera tragedia.

 

28 febbraio giornata europea per la parità retributiva.

8 marzo festa della donna.

25 novembre giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

 

   Basta! Non abbiamo bisogno di commemorazioni ipocrite, che sono sempre di più un modo per lavarsi la coscienza di una società sempre meno uguale, sempre più ingiusta e che ogni giorno perde diritti.

 

L’8 marzo tutte in piazza per gridare al mondo che vogliamo una società che ponga al centro la persona e non il profitto, una società più giusta per tutti.

 

C.U.B.-S.A.L.L.C.A.  Credito e Assicurazioni

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By jvb