Il 19 novembre 1969 durante una manifestazione violenta dei comunisti marxisti leninisti morì in servizio l’agente di polizia ANTONIO ANNARUMMA. Un compagno dal volto coperto da una sciarpa rossa che impugna un tubo metallico come fosse un giavellotto lo scagliò contro il polizziotto sfondandogli il cranio. La stampa rossa negò ogni coinvolgimento dei manifestanti ed addusse la colpa ad un banale incidente stradale.

Nessuno fu condannato per questo omicidio.
Ancora oggi ci sono media rossi che propalano “verità alternative sui fatti”.
Annarumma è stato insignito della medagli d’oro.

Antonio Annarumma, un martire senza pace

di Gianmarco Calore

Di Antonio Annarumma, guardia di pubblica sicurezza del 3° Reparto Celere di Milano, assassinato per mano ignota il 19 novembre 1969 nella famigerata “battaglia di via Larga”, la stragrande maggioranza degli addetti ai lavori sa già tutto. Si è tutti pronti ad aprire discussioni sul contesto storico e sociale in cui maturò quel tragico evento, sulla sua evitabilità, sulla regia occulta che accese la miccia degli scontri. Addirittura i più arditi pensatori sono certissimi nel delineare fattori, cause, concause partendo dall’aspetto poltico di quegli anni fino ad arrivare all’inadeguatezza dei mezzi di contrasto adottati dalla Polizia per ristabilire l’ordine pubblico turbato.

Anche io credevo di sapere tutto su Antonio Annarumma. Non è così, anzi. Oggi mi accorgo che sull’argomento, a distanza di oltre 40 anni, siamo ben lontani dallo scrivere la parola FINE. E non solo perchè l’assassino del giovane poliziotto non fu mai individuato, ma anche perchè esistono ancora cospicue “sacche” di resistenza che si ostinano a credere e a propagandare che la morte di Annarumma si debba ascrivere SOLO ed ESCLUSIVAMENTE a mera fatalità, a un incidente stradale dettato dall’inesperienza di quel ragazzo nella conduzione dei mezzi di Polizia durante le delicate manovre chiamate in gergo “caroselli”.

Già nel 2007, partecipando a una delle tante discussioni sull’argomento che popolano il web, fui il primo ad abboccare alle molte incongruenze che oggi mi accorgo circondare l’assassinio di quel giovane meridionale, giunto a Milano come tantissimi altri per raggranellare qualche quattrino da mandare ai genitori in terra campana. Oggi mi accorgo con orrore di avere accettato senza spirito di analisi critica le tante (troppe) versioni “ufficiali” e di non avere messo in dubbio alcuni degli aspetti che caratterizzarono quella tragedia.

[banner network=”adsense” size=”336X280″ type=”default”]Anche io, come molti, conclusi la faccenda considerando la morte di Annarumma per quello che è: un assassinio insoluto.

Ma oggi, grazie all’ennesimo negazionista che con molto coraggio ha voluto rilanciare in forma anonima la teoria dell’incidente cercando di fare passare Antonio Annarumma per un pivello attanagliato dal panico (se non addirittura per uno dei tanti celerini-picchiatori-fascisti-legalizzati), ho ripreso in mano la faccenda da tutt’altra prospettiva. E i risultati, nella loro evidenza, dovrebbero bastare per chiudere la bocca a questa pletora di babbei farneticanti.

Questo non vuole essere l’ennesimo articolo commemorativo sul “povero-povero-Annarumma”. Qui si cercherà soltanto di portare in evidenza punto per punto proprio quelle incongruenze che forse hanno permesso al suo assassino di farla franca.

Partiamo proprio da questa parola: ASSASSINO. Perchè è bene chiarire subito che Annarumma fu ASSASSINATO, con buona pace dei detrattori di questa certezza. Sulla questione ci sono pochi, evidentissimi punti che riassumiamo per come l’istruttoria ce li ha tramandati.

– Testimonianza dei militari che erano a bordo del veicolo condotto dalla vittima. Su queste spicca per la sua veracità quella della guardia Giovanni Magliocca (che si prosciolse l’anno successivo sulla scorta dei traumi che quell’evento gli provocò): il militare descrisse con precisione meticolosa gli ultimi istanti di vita del suo collega. Disse che il veicolo da lui occupato (e uso volutamente la parola veicolo, vedremo poi perchè) era impegnato in uno degli ennesimi “caroselli” per disperdere la folla di manifestanti (che collocheremo politicamente solo più avanti) quando fu fatto oggetto del lancio di innumerevoli aste metalliche costituite da tubi “innocenti” da impalcatura. Per regolamento, i militari a bordo dei mezzi di Polizia dovevano indossare il berretto rigido dell’uniforme: Annarumma si trovava in queste condizioni e cercò con la mano sinistra di sfilare dal tascapane l’elmetto metallico che lo avrebbe maggiormente protetto. Per fare questo, dovette per forza diminuire l’andatura del veicolo portandolo quasi a passo d’uomo. Fu in quell’istante che, di fronte al mezzo e al’altezza del lato guida, uno dei manifestanti lanciò un tubo da impalcatura “dritto per dritto” (testuali parole) colpendo il militare alla testa, sfondandogliela. Il mezzo, privo di controllo, invase con uno scatto la corsia opposta in cui stava transitando un’altro veicolo del Reparto contro il quale impattò con violenza arrestando la corsa di entrambi a ridosso del marciapiede. Nella collisione, sia la guardia che sedeva sul posto del passeggero nella cabina di guida del mezzo di Annarumma, sia il brigadiere che occupava l’altro veicolo colliso furono proiettati contro il parabrezza anteriore. I veicoli furono quindi circondati da molti manifestanti che, quando si accorsero del poliziotto ucciso, si dettero molto coraggiosamente alla fuga, incalzati dallo stesso Magliocca, dai colleghi che erano con lui e da altri giunti nel frattempo in soccorso. Annarumma fu adagiato sul marciapiede e caricato su una “Giulia” civile della Questura che lo trasportò invano all’ospedale. Una simile testimonianza basta da sola a smentire i negazionisti che, nonostante ciò, accamparono senza produrre alcuna prova contraria la teoria della ricostruzione preconfezionata. … continua …

(Immagine: http://www.cadutipolizia.it/index.asp)

By jvb