Erano le 4,25 del 4 novembre 1956 , sparando su studenti e operai, l’ armata rossa entrò a Budapest. Cinquemila carri armati che lasciarono vittime, e spezzarono “ il sogno di liberta”. Ma furono i primi semi che porteranno frutto trent’anni più tardi: il crollo del comunismo sovietico.

Il deprezzamento della rivoluzione ungherese da parte dell’intellighenzjia comunista italiana, la negazione dell’essenza antitotalitaria del genuino slancio democratico magiaro prenderanno piede nei mesi successivi alla repressione con una massiccia campagna stampa. Se nei giorni critici della rivolta le pubblicazioni del PCI – «l’Unità» in testa – si erano prodotte in una delegittimazione e in un totale travisamento dei fatti – con le truppe dell’Armata Rossa a incarnare gli ideale di libertà e democrazia (socialista) e i rivoltosi accomunati a bande sanguinarie di reazionari spuntati chissà da dove -, tra il dicembre del 1956 e i primi mesi del 1957 la condanna assumerà toni più articolati. A farne le spese saranno, nell’ordine: il leader della rivolta, Imre Nagy, oggetto di una vera e propria demonizzazione; i pochissimi esponenti del PCI che avevano sollevato timide e circospette proteste; gli operai e gli intellettuali ungheresi, questi ultimi descritti da Togliatti con un linguaggio di straordinaria grettezza intellettuale. Ma vediamo nel dettaglio come maturò sulla stampa del PCI, nei mesi successivi alla repressione, la delegittimazione a 360° della rivoluzione ungherese.

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Giorgio Napolitano , definì teppisti e spregevoli provocatori ‘ , studenti e operai ungheresi insorti , arrivando a giustificare l’ intervento sovietico come ‘ un contributo alla pace nel mondo. Non ebbe il coraggio di opporsi all’ invasione d’ Ungheria , ma trovò il coraggio nel 2006 durante una visita ufficiale di rendere omaggio alla tomba di Nagy .

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By Pigi