Buon  25 Aprile, soprattutto a coloro che son chiamati a lavorare.

 

Festività dissacrate da consumismo e lavoro nero

by Marco Petrelli (QELSI.IT)

immaginearticoloTerni. “Domani lavorate sì?” E’ la domanda ormai più diffusa in Italia alla vigilia di una qualsiasi festività che il cittadino, forse ignaro che il giorno di riposo sia gradito anche agli operatori del commercio, rivolge a commessi e camerieri, albergatori e ristoratori.

“Siete aperti domani?” Chiede una cliente alla dipendente di un grosso punto vendita di scarpe ed accessori. E’ il 24 di Aprile e la signora, plausibilmente, vorrà tornare a ultimare gli acquisti il 25, dì di festa.

La risposta della ragazza al bancone è affermativa: “Dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 20. Facciamo pausa pranzo, visto che domani è festa”. La signora resta di gelo. Poi, con stizza, vuol sapere “perché non facciate orario continuato!”

“Overbooking!” Grida soddisfatto dalla cucina il ristoratore di un locale nel centro di Terni. “Domani si fa il pieno ragazzi. Tutti qui alle 10”. Passi di fronte al ristorante e senti la voce del gestore che rimbomba per la sala. Sono le sei del pomeriggio, i camerieri arrivano alla spicciolata, si infilano i grembiuli provano le penne sui fogli delle comande, infilano in tasca il cavatappi.

Volti giovani, sì e no vent’anni. Molti sono studenti, altri disoccupati alle prime armi con la crisi. “Quanti coperti?” fa uno dei lavoratori. “Centocinquanta stasera, duecento domani a pranzo” replica gaudente il titolare che già si sfrega le mani. “Domani ci dai qualcosa in più, visto che è festa?” chiede speranzosa una ragazza. Per nulla infastidito di essere sentito da chi passa fuori, il ristoratore taglia corto: “Per voi è un giorno come gli altri. Quaranta a servizio, come sempre. E siate contenti almeno! Ottanta euro in due giorni, siete ragazzi che ci dovete fare con più soldi?”

Già, sono ragazzi: cinque euro l’ora e in nero. E i datori che, come talvolta ci capita scambiando due chiacchiere con loro, giustificano l’assenza di contratto come un “favore” fatto ai dipendenti: almeno non pagano le tasse sulla retribuzione.

“Vota Antonio!” Tra un mese si vota e punti informativi di liste e partiti e gazebo cominceranno ad essere presenze fisse nella quotidianità di ciascuno di noi. Insieme ai militanti spinti dalla causa, a lavorare per la politica locale ci sono anche studenti che accettano di distribuire volantini, fare porta a porta, stazionare nei gazebo per pochi euro. Una forma di sfruttamento peggiore rispetto a quella cui sono sottoposti gli occasionali di bar e ristoranti: almeno nei locali non c’è la foto del “padrone” con la scritta a caratteri cubitali “Il mio impegno per i giovani”.

La crisi che affligge la nostra economia ormai da sei anni propone due soluzioni: non lavorare o accettare un impiego a qualunque condizione.

I “vergogna”, “che schifo”, “dove sono i sindacati?”, “cosa fa il governo per i lavoratori” restano parole al vento o stampate sulla carta di qualche manifesto elettorale. Così come “democrazia, lavoro, dignità”, termini adatti alle celebrazioni istituzionali del 25 Aprile e del I Maggio, ma avulsi dalla quotidianità degli italiani.

(Immagine: lupoemigrato.wordpress.com)

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