Licenziamento del lavoratore non reperibile per la visita domiciliare

Scritto il 22 febbraio 2012 da Enzo Gonano

Secondo la Corte di Cassazione, sent. 2003/2012, il datore di lavoro è legittimato a licenziare il proprio dipendente assente dal lavoro per malattia, che non si renda reperibile durante le visite mediche di controllo e che continui a far pervenire certificati successivi al termine indicato all’origine della condizione di impossibilità a recarsi al lavoro a causa di una infermità provvisoriamente inabilitante.

Con lo stesso parere, nel caso sottoposto alla Cassazione, si erano espressi sia il Giudice monocratico che la Corte d’Appello che avevano così respinto la domanda del lavoratore interessato ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento operato dal datore di lavoro.

Le motivazioni della Cassazione? Con il suo comportamento il lavoratore ha dimostrato “pervicace volontà intenzionalmente mirata a pregiudicare” l’interesse  del datore di lavoro “ad esser posto in condizione di effettuare un’adeguata verifica dello stato di malattia del dipendente assente”. Fatto che viene riconosciuto tale da incrinare il vincolo fiduciario instaurato tra le parti con l’assunzione e che è venuto meno sia per il reiterarsi, in breve tempo, del comportamento del lavoratore che non si è fatto trovare in casa per i controlli sanitari, sia per il fatto che l’interessato non è riuscito a opporre valide giustificazioni del suo comportamento.

In generale, “per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e in particolare di quello fiduciario, occorre valutare:

  1. La gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva del medesimo, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità dell’elemento intenzionale;
  2. la proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare (Cassazione, Sent.. 21437/2011).

 

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