Vittoria nostra non sarai mutilata. Nessuno può frangerti i ginocchi né tarparti le penne. Dove corri? Dove sali? La tua corsa è di là della notte. Il tuo volo è di là dell’aurora. Quel che in Dio fu detto è ridetto: “I cieli son men vasti delle tue ali”

Questi i versi conclusivi della Preghiera di Sernaglia che il “Corriere della Sera” pubblicò in prima pagina il 24 ottobre 1918 e con la quale Gabriele D’Annunzio lanciava il primo grido d’allarme contro i pericoli che scorgeva ai danni della nostra vittoria. Il mito della vittoria mutilata divenne così un punto di riferimento ineludibile per quell’interventismo rivoluzionario che della guerra aveva fatto il momento iniziale di una nuova fase della storia d’Italia. Come si disse allora, l’Italia, dopo aver vinto la guerra, rischiava seriamente di perdere la pace. E’ dalla vittoria mutilata che occorre partire per comprendere la temperie di quei giorni e per potere cogliere in tutta la sua importanza il ruolo di d’Annunzio dopo il 1918.

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