Il sindacato è come un pugile che tra un jab ed un cross si trova ora al suo angolo col fiato corto. Il petto si gonfia in fretta per il respiro affannato, la fronte è madida di sudore e qua e là più di una ecchimosi; d’altra parte trent’anni di sindacalismo concertativo e fallimentare gli stanno appesantendo le gambe ed i riflessi non son più quelli di una volta.

E’ passato il tempo in cui colpiva duro, colpiva per primo. Marchionne prima, Monti poi l’hanno fiaccato e rischiano di metterlo al tappeto.

O il sindacato si rinnova o ci aspetterà un inevitabile declino, come è accaduto in Francia. D’altra parte la “base” del sindacato sono ormai i pensionati che, se non ricordo male, rappresentano più del 50% e degli iscritti.

Nuova linfa invece la sta trovando il sindacalismo di base, forse perché meno esposto sul fronte “politico” (e perciò sentito più vicino alle esigenze dei lavoratori); da quando cioè i sindacati confederali hanno cominciato a collaborare con i differenti governi – dagli anni 90 in poi – offrendo moderazione salariale e controllo dell’inflazione in cambio di una titolarità “politica” a rappresentare interessi generali.

Come scriveva Lina Palmerini sul Sole24Ore (qui il link all’articolo)

“Con grande nettezza, ha negato (Monti ndr) ai sindacati la rappresentanza degli interessi generali e rivendicato al governo la titolarità di decidere sulle pensioni. Uno shock per Cgil, Cisl e Uil che sulla previdenza hanno sempre trattato e imposto anche un potere di veto ai governi. E tanto più il premier ha rafforzato questo concetto quando ha aggiunto di voler discutere con i sindacati solo materie di loro stretta pertinenza come la riforma del mercato del lavoro”.

Dallo stesso quotidiano il mio ex docente di Economia del lavoro, Carlo Dell’Aringa, dichiarava (qui il link all’articolo):

“Il sindacato italiano deve prepararsi ad un cambiamento di regime che, di fronte a una concorrenza internazionale sempre più agguerrita, non è più dilazionabile. Nei dieci anni di vita dell’euro il nostro Paese ha perso diversi punti percentuali di competitività nei confronti della media dei Paesi dell’area monetaria. Ha perso quasi trenta punti percentuali nei confronti della Germania. La produttività è rimasta ferma mentre quella degli altri Paesi cresceva. Da questo torpore tutto il Paese deve svegliarsi.”

E’ soprattutto vera l’ultima frase. E’ ovvio che la situazione attuale non è solo colpa del sindacato. La politica ha fatto la sua parte, così come i deficit strutturali del Paese, le scelte procrastinate nei decenni nonché la presenza di un tessuto manageriale non sempre all’altezza di guidare imprese e banche.

Ma è innegabile che una riforma del ruolo e soprattutto della rappresentanza sindacale si dovrà fare.

La situazione in Ubis è lì a dimostrarlo. Sembra una commedia dell’assurdo, un’opera di Pirandello. Lavoratori che diffidano i loro rappresentanti dal sottoscrivere accordi senza prima averli sottoposti al giudizio ed al voto degli interessati e, nel contempo, lavoratori che chiedono agli stessi sindacati a cui sono iscritti di procedere con la trattativa..

Così com’è, la rappresentatività sindacale rischia di creare situazioni d’empasse in cui a beneficiarne sarà solo l’azienda.

Quello che è certo è che il rapporto con i lavoratori andrà recuperato. Occorre tornare ad elaborare le piattaforme rivendicative con la partecipazione della base, della maggioranza dei colleghi, oltre che condurre battaglie chiare e coerenti per recuperare una credibilità in deficit. Significa insomma adoperarsi per una tutela intransigente dei lavoratori

Due articoli sul Sindacato di Base:

Il sindacalismo di base surclassa la concertazione

Beppe Grillo contro tutti: attacca Monti

By aidos