Il compito principale, o forse unico, di un sindacato è la tutela dei lavoratori. Non la difesa dei privilegi di alcuni, non la ricerca ed il mantenimento di posizioni di potere e la spartizione di poltrone, non impegni pseudo politici che seguano la moda del momento. La difesa, invece, dei posti di lavoro, nelle situazioni nelle quali, purtroppo e drammaticamente sempre più frequenti, essi sono a rischio.

Sentire poi sigle sindacali (come quelle dei bancari) parlare di “democrazia” mette l’orticaria… Democrazia e sindacato? Due parole che non si possono usare nella stessa frase. I sindacati sono tutto tranne che democratici. Gli stessi sindacalisti nella maggior parte dei casi non sono neppure nominati dalla “base” (siano essi i propri iscritti o i lavoratori).
I Sindacati ormai sono una lobby che rappresenta più un potere economico e politico che sociale.
Basti pensare alle manifestazioni i difesa dell’Art.18. In centinaia di migliaia in piazza quando a chiederne la riforma era il Governo Berlusconi, pressoché nessuno quando la riforma è passata con il voto del PD.
Se a questo aggiungi che molti ancora fieramente espongono la falce e il martello, simbolo storico di antidemocrazia, oppressione e violenza, beh, il cerchio si chiude.

Sono questi i sindacalisti che ci rappresentano e che dovrebbero difendere i nostri diritti?
Occorre un nuovo modello di rappresentanza sindacale. Occorre  equiparare  le organizzazioni sindacali ad enti pubblici con obbligo di bilancio, rendicontazione, pubblicità, limiti e modalità di spesa.
Modifica dell’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori che riconosce il diritto di rappresentanza alle associazioni sindacali che risultino firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva.
Occorre invece riportare la democrazia sindacale nelle Aziende, attribuendo ai lavoratori il diritto di scegliere i propri delegati sindacali svincolandoli dalle lobby della “triplice” che oggi rappresentano interessi più politici che sindacali.
Occorre abolire il conservatorismo sindacale ancorato a forme di gestione tipiche degli anni settanta ed ormai superate.
Con i profondi cambiamenti che il mondo del lavoro ha subito il sindacato si è trovato incapace di affrontare tempestivamente le problematiche inerenti le nuove emergenti tipologie di lavoratori. I sindacati sono in grande difficoltà ad adeguarsi ai cambiamenti della società.
Il cambiamento del mondo del lavoro deve essere accompagnato da un aggiornamento del modo di fare sindacato e di essere vicino ai lavoratori. Occorre perciò premiare coloro che effettivamente si spendono per tutelare i diritti e le retribuzioni dei lavoratori favorendo il riconoscimento di contratti di categoria con diritti minimi per tutti i dipendenti e contratti integrativi stipulati anche da singole Organizzazioni e validi solo per i loro iscritti. Questo permetterebbe anche di limitare la strumentalizzazione del sindacato a fini politici.
Torniamo al principio originario previsto dalla Costituzione.
Art. 39 Costituzione: “…Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria  per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce…” Poiché attualmente i sindacati operano come enti di fatto, i contratti di lavoro hanno efficacia limitata ai soli iscritti alle associazioni stipulanti. Tuttavia, la dottrina prevalente e la giurisprudenza (Cass. 2430/80, 5576/80, 190/81) ritengono che i contratti collettivi sono ugualmente applicabili alla generalità dei lavoratori anche se l’uno o l’altro (o entrambi) i soggetti del rapporto individuale non siano iscritti.
Assolutamente da modificare!

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By jvb